Il lusso di fare figli


In queste settimane è passato inosservato il fatto che in Veneto nel 2013 il numero dei morti supera ampiamente (di oltre 4 mila unità) il numero dei nati.

A dire il vero è da due anni che si registra un tasso di crescita naturale negativo. Ma quello dell’anno passato profuma di record. Con una decrescita dello 0,9% si arrivano a toccare i livelli minimi registrati a metà anni ’80 e a metà anni ’90. Il dato è ancor più significativo se si pensa che il tasso di mortalità oscilla ormai da sessant’anni tra il 9 e il 10 per mille. Questo significa che sono diminuite costantemente le nascite.

La figura 1 mostra chiaramente la tendenza del saldo naturale e del tasso di crescita naturale in Veneto dal dopoguerra sino ad oggi. Il boom di nascite post-bellico si esaurisce già a inizio anni ’70 quando nel giro di un decennio il tasso di crescita naturale si azzera. Sono gli anni in cui il numero medio di figli per donna è ampiamente sopra 2,5 (si veda la figura 2).

Dagli anni ’70 si assiste ad una vera e propria rivoluzione produttiva che ha provocato una forte compressione della natalità: per un ventennio, tra gli anni ’80 e gli anni ’00, il saldo naturale veneto è negativo e il numero medio di figli per donna drasticamente si dimezza.

La tendenza si inverte nei primi anni ’00, quando il saldo naturale torna positivo e la fecondità smette di diminuire. È l’effetto provocato dall’ingresso massiccio degli immigrati nella nostra regione. Culture riproduttive diverse hanno per qualche anno sostenuto la dinamica demografica. Fino al 2007, quando il saldo naturale ha iniziato rapidamente a decrescere tornando negativo nel 2010.

Fig.1.1

Fig.1.2

Cosa sta succedendo? Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? La crisi economica ha contribuito a questo nuovo deciso calo della natalità?

Le dinamiche demografiche attuali sono conseguenza di profondi cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi 40 anni: l’innalzamento dell’età media al parto, l’uscita ritardata dalla famiglia d’origine, un percorso di studi più lungo, un incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, mutamenti nella struttura familiare. A questi fenomeni, tutt’ora in corso, si unisce un periodo di profonda crisi economica che sicuramente ha inciso e inciderà negativamente: l’aumento della disoccupazione e le peggiori condizioni economiche fanno rimandare i programmi riproduttivi delle coppie.

Come sarà il futuro? Il futuro è un’incognita, ma alle condizioni attuali sembra molto probabile che la tendenza in atto prosegua accentuandosi. Si sta entrando in un preoccupante circolo vizioso: anno dopo anno vi è un vero e proprio prosciugamento delle generazioni future con ripercussioni evidenti nell’economia e nella società: si spopolano le scuole, si riducono le entrate nel mercato del lavoro (http://www.innovaricerche.com/?p=157), si riduce il numero di potenziali genitori e figli.

Cosa fare per cambiare rotta? Come tornare ad un saldo naturale positivo? Di certo l’immigrazione aiuterebbe ma da sola non basta. A questo si potrebbero aggiungere incentivi monetari alle nascite per anticipare le decisioni riproduttive delle coppie. Ma per produrre effetti concreti dovrebbero essere significativi e permanenti, cosa sicuramente che l’Italia ora non può permettersi. E allora? Sembra che la soluzione debba inevitabilmente passare per una nuova rivoluzione sociale che anticipi la piena autonomia dei giovani, aumenti la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, garantita da un’adeguata rete di welfare in ottica di conciliazione casa-lavoro.

L’inconciliabilità tra figli e lavoro trova smentite in molti paesi (soprattutto quelli Nord-europei). Oltre ad essere un veicolo di indipendenza economica, valorizzazione e promozione della donna, la partecipazione attiva al mercato del lavoro consentirebbe di risolvere problemi legati al bilancio familiare: se il motivo principale del fatto che non si fanno figli è legato all’insicurezza economica, una doppia fonte di reddito potrebbe agire positivamente sulle scelte riproduttive della coppia. A questo ovviamente dovrebbe aggiungersi una rivoluzione anche nel sistema di welfare che consenta alla donna, ma anche all’uomo la cura familiare. Forse un sogno?

 

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