L’escalation del debito pubblico italiano? Non è storia recente


L’Italia chiede flessibilità all’Europa nella diminuzione del debito. Certo senza crescita è molto difficile pagare quanto dovuto, ma far aumentare ancora la massa debitoria rischia di portare l’Italia in una strada senza ritorno. Il sentiero su cui si muove il Paese è molto stretto: crescere senza indebitarsi e contemporaneamente ripagare le obbligazioni contratte in passato.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Magari ripercorrere la strada passata può dare indicazioni di errori da non ripetere.

Il problema che l’Italia affronta oggi sta nella struttura storica del Paese: elevato debito pubblico, spinto da una spesa che cresce più del Pil.
La figura sottostante mostra che fino agli anni ’70 il rapporto debito/Pil è rimasto abbastanza costante: attorno al 50%. Negli anni ’80 è letteralmente raddoppiato. E la crisi finanziaria del 1992 fa lievitare il rapporto a oltre il 120%.

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A cosa è dovuta questa crescita? In prima battuta alla spesa per interessi. Elevati tassi di interesse legati ad una maggiore inflazione italiana rispetto agli altri paesi. Infatti prima del 1981, quando avviene “il divorzio tra Tesoro e Banca Italia”, la Banca d’Italia comprava il debito non collocato generando così inflazione (monetizzazione del debito).
Con lo scopo di diminuire i livelli inflazionistici (ormai a due cifre) il divorzio (firmato da Beniamino Andreatta (ministro del Tesoro ) e Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia) ha condotto alla sfrenata crescita del debito pubblico italiano.

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Non solo per gli interessi il debito aumenta anche a causa della spesa pubblica primaria (spesa pubblica senza gli interessi) che varia più velocemente della ricchezza prodotta. Forte aumento della spesa per pensioni, previdenza, assistenza e trasferimenti alle famiglie. Rispetto però alla spesa per interessi, la tendenza alla crescita della spesa primaria è un fattore comune ai principali paesi, legato all’invecchiamento della popolazione.

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Riassumendo la prima fase del debito (anni ‘70) è legata alla spesa in deficit. Negli anni ’80 fino alla crisi dello SME (Sistema Monetario europeo) del 1992 sono gli interessi finanziati con altro debito (schema di Ponzi) che ne spiegano la crescita.
Tutto il successivo processo di adesione (criteri di Maastricht) e partecipazione all’euro hanno indotto dei freni alla spesa pubblica facendo anche diminuire la spesa per interessi, moderando in questo modo il rapporto debito/Pil.
Questa fase di bonaccia negli interessi è stata un’occasione sprecata per ridurre seriamente il debito pubblico. Infatti da metà anni ’90 per entrare nell’euro si sono risanati i conti (principalmente con l’aumento della pressione fiscale) fino all’attuale crisi finanziaria, iniziata nel 2008. Da quel momento per fronte alla recessione si è tornati ad aumentare la spesa pubblica, contemporaneamente sono diminuite le entrate fiscali e sono aumentati i tassi di interesse per la crisi dei debiti sovrani esplosa nel luglio 2011.
Oggi il contributo che gli interessi danno alla crescita del debito pubblico è il più alto tra i paesi europei. Al contrario il bilancio primario ha contribuito a diminuire il debito ed è tra i più virtuosi anche in fase recessiva. L’Italia vedrà crescere il proprio debito meno dei principali paesi. Proprio per questo gli indicatori tradizionali di sostenibilità del debito pubblico del Fondo Monetario e della Commissione Europea segnalano per l’Italia una situazione relativamente favorevole.
Quali lezioni possiamo prendere dal passato? La teoria economica, che poi non replica altro che la regola del buon padre di famiglia, vuole che ci si indebiti solo se vi è la convenienza. In pratica:
– si hanno prospettive di crescita del reddito superiore agli interessi da pagare,
– oppure i soldi presi a prestito devono essere usati per investimenti che diano rendimenti superiori al servizio per il debito
Abbiamo visto che storicamente non è stato il caso dell’Italia. Il caso dell’Italia è quello in cui ci si indebita perché costretti. L’Italia ha un ampio patrimonio pubblico e privato (risparmio) a cui non ha voluto attingere, in quanto politicamente non era facile privatizzare o tassare, ma che poteva utilizzare a garanzia, per ottenere capitali a prestito e finanziare così la propria spesa corrente ed in conto capitale. Visto che il finanziamento costava di più di quello che l’Italia era in grado di far rendere i capitali, in sostanza l’Italia spostava ricchezza a favore dei detentori del debito. Bisogna aggiungere che fino agli anni ’90 gli Italiani erano i detentori del debito pubblico, che di fatto non è stato altro che un mezzo per redistribuire ricchezza con però criteri opposti a quelli di un moderno sistema di welfare. Dopo gli anni ’90, con l’apertura dei mercati finanziari circa il 40% del debito pubblico è in mano a paesi stranieri, ciò significa che l’Italia sta realmente distruggendo ricchezza in favore di questi paesi.
L’Italia nel corso del tempo ha dimostrato quindi di non far buon uso del debito. Sperava di poter vivere al di sopra delle sue possibilità, cioè con un eccesso di debito, che sarebbe stato ripagato dall’inflazione, dai contribuenti o da qualche altro paese estero. Il sogno si è infranto più di 20 anni fa e oggi all’interno di una moneta unica, si aggiunge che l’ elevato debito pubblico deprime anche la crescita in quanto, non è possibile usare la leva fiscale per fare investimenti. Al contrario drena denaro per rispettare le promesse sottoscritte nei trattatati.
Dato il livello di debito e l’incapacità Italiana ad utilizzarlo correttamente e data la pressione fiscale per spezzare il circolo vizioso rigore-recessione non resta che lavorare sulla crescita del Pil, tagliando la spesa improduttiva, operando le riforme strutturali che da troppo tempo frenano il Paese (burocrazia, tempi della giustizia, corruzione…. ma l’elenco è più che noto) e sfruttando la discesa degli interessi per investirla innanzitutto in infrastrutture materiali ed immateriali, in un moderno sistema di istruzione e formazione che accompagni le persone lungo tutta la carriera ed in un welfare moderno a supporto della famiglia e delle nascite.

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