La Banca centrale europea ha annunciato ieri a sorpresa un taglio dei tassi d’interesse e l’avvio a ottobre di un programma di acquisto di titoli cartolarizzati e di covered bond. Nelle prossime settimane ci sarà anche una iniezione di liquidità alle banche (Tltro) subordinata all’erogazione di credito all’economia reale.
Matteo Renzi non ha nascosto la sua soddisfazione: “Oggi si è messo un altro tassello”. Una strategia per la crescita che per il premier si compone di tre gambe: gli investimenti di Juncker, le riforme a Roma, e appunto, la politica monetaria della Bce.
Ma questa operazione così roboante cosa porterà all’economia reale? Come sempre in economia non è facile fare previsioni esatte, in quanto dipendono dalla reazione degli agenti economici. Però qualche scenario possiamo intravederlo.
Il calo dei tassi di interessi di riferimento e l’aumento di liquidità manterrà i tassi di interessi bassi e farà scendere i rendimenti dei titoli pubblici e quelli richiesti dalle banche a quanti chiederanno credito. La naturale conseguenza è che ci sarà un pò di respiro per i conti pubblici nazionali.
Il taglio dei tassi dovrebbe (il condizionale è d’obbligo perché non è detto che la Fed stia ferma a vedere, come non è altrettanto detto che i mercati finanziari siano sensibili a questa misura) contribuire a indebolire l’euro che, a 1,295 sul dollaro, ha toccato il minimo da 13 mesi. Rispetto a 1,39 della primavera scorsa c’è stato un calo del 7%, con vantaggi per le imprese esportatrici di tutta l’Unione monetaria (e non della sola Italia come quando si svalutava la Lira) e positive conseguenze su un’inflazione scivolata quasi a zero, dato che le importazioni saranno più care.
Se finora, non è stato difficile dipingere gli effetti attesi, per gli altri operatori bisogna distinguere due Interpretazioni:
1) ogni intervento della banca centrale è inutile. Il sistema è come un deserto: data l’avversione al rischio, lascia scorrere tutta la liquidità senza assorbirla. I tassi si schiacciano a zero, ma senza effetti né sulla crescita né sui prezzi al consumo. Per uscire dalla trappola della liquidità servono solo le politiche strutturali e quelle fiscali. Le prime aumentano la competitività e irrobustiscono l’offerta aggregata, ed hanno effetti benefici sulla produttività, quindi sulla crescita. In più creano la disinflazione “buona”, cioè le cadute dei prezzi che nascono dalla maggiore concorrenza e vanno a favore dei consumatori. Le seconde, le politiche fiscali, possono aumentare la domanda aggregata, a patto che non peggiorino i conti pubblici di un Paese, creando così un effetto moltiplicativo sulla crescita economica;
2) la politica monetaria può essere ancora efficace. La trappola della liquidità può essere aggirata soprattutto attraverso gli interventi non convenzionali, ossia attraverso operazioni di mercato aperto in titoli pubblici e privati. Queste ultime, infatti, aumentano le possibilità che la liquidità primaria creata dalla Bce cresca, generando effetti moltiplicativi sugli aggregati monetari e creditizi. Di riflesso si alzerebbero le aspettative inflazionistiche grazie ai chiari segnali di crescita della liquidità e aumenterebbero le possibilità di indebitamento sia degli Stati che dei privati. La politica monetaria avrebbe cioè effetti fiscali e finanziari positivi, quindi effetti espansivi sulla crescita economica e sui prezzi, scongiurando il rischio deflazione.
A quale credere ? Con ogni probabilità ci ritroveremo da qualche parte in mezzo ai due scenari. È sciocco pensare che una politica monetaria accomodante a livello europeo possa avere gli stessi effetti in tutti i paesi dell’Unione monetaria: oggi la Germania paga interessi privati e pubblici ben più bassi dell’Italia. Il rischio è che la liquidità vada (o sia spinta) dove non ce n’è bisogno. È verosimile che per l’Italia tale politica monetaria aiuterà l’economia, ma di certo non la farà uscire dalla crisi. Il problema di fondo che ha provocato la paralisi degli investimenti industriali, l’aumento della disoccupazione, la caduta dei consumi, la frenata dei redditi e in ultima analisi il palese rallentamento della crescita non è risolto. È necessario ripristinare il naturale fluire degli investimenti e dei consumi. Come è noto, solo un miglioramento delle aspettative economiche può rimettere in moto la domanda di credito e quindi riavviare la crescita in modo generalizzato: il denaro non si chiede se mancano le condizioni per remunerare gli investimenti o per indebitarsi da parte della famiglia. È cosa che sa bene il presidente della Bce che anche ieri ha ribadito la necessità di coniugare la politica monetaria e la politica economica dei governi: quella fiscale e delle riforme strutturali. In una conferenza stampa seguita a quella della Bce, Draghi ha dichiarato: “Possiamo garantire tutti gli stimoli monetari che vogliamo, ma se la persona intenzionata a usare questo credito per una nuova attività deve aspettare otto mesi per poterla avviare, e poi deve pagare un mucchio di tasse, allora questa persona non chiederà alcun finanziamento”.
Inquadrata in questi termini, dunque, la manovra della Bce ha cambiato ben poco nelle aspettative degli imprenditori e delle famiglie. Per uscire dalla recessione le misure della Bce devono essere accompagnate da misure straordinarie europee: investimenti nelle infrastrutture e nel sostegno delle aree ad alta crisi occupazionale; e da politiche nazionali che tolgano finalmente i freni all’economia e la rendano veramente competitiva. Recentemente il World Economic Forum ci ha posto al 49esimo posto mondiale per competitività (dietro al Portogallo). I fattori che pesano su questa posizione sono: il grado di concorrenza dei mercati, la validità delle istituzioni, la flessibilità e l’efficienza del mercato del lavoro, tutte aree in cui l’Italia è indietro. Qui la Bce può poco, tocca a noi decidere da dove iniziare.