Ocse: la ripresa sarà più lenta, ma accelerare si può


Ad inizio febbraio la Commissione europea aveva rivisto le previsioni di crescita dell’Italia all’1,4% dal precedente 1,5%. Una revisione così contenuta (-0,1%) era sembrata più che altro una ripicca contro le continue polemiche di Renzi nei confronti della Commissione stessa. Ma pochi giorni fa è arrivata anche la conferma dell’Ocse, che ha ridotto all’1% la stima di crescita del Pil italiano per il 2016, rispetto all’1,4% delle precedenti previsioni di novembre. Del resto questi numeri incorporano le stime preliminari Istat sulla crescita del Pil nell’ultimo trimestre del 2015 inferiore al previsto (0,7% al netto della stagionalità e degli effetti di calendario, al di sotto dello 0,9% ancora ufficialmente previsto dal governo), che consegnano al 2016 una spinta meno vigorosa.
Per inciso il peggioramento della crescita non riguarda affatto solo l’Italia: l’Ocse ha rivisto in calo per il 2016 anche la crescita mondiale (3% nel 2016 rispetto al precedente 3,3%), in linea con l’andamento della zona euro (-0,4%, appunto dall’1,8% a 1,4%), il Pil francese (da 1,3% a 1,2%), quello americano (da 2,5% a 2%) e quello tedesco, all’1,3% dal precedente 1,8%.
 


      Fonte: Elaborazioni su dati Ocse
 

Nella presentazione del suo rapporto l’Ocse ha sottolineato che “un recupero della ripresa globale rimane sfuggente ed è urgente una risposta politica collettiva più forte. […] Le politiche monetarie dovrebbero restare altamente accomodanti. […] Ma bisogna che ci siano anche le altre due gambe del tavolino […] uno sforzo collettivo e rapido da parte dei Governi sui fronti di una politica di bilancio non restrittiva e finalizzata alla crescita, a partire dalle spese per investimenti produttivi, e delle riforme strutturali, soprattutto per quanto riguarda l’apertura dei mercati dei prodotti e dei servizi e le riforme del mercato del lavoro”.
Il rischio che si corre in questa situazione è quello di emulare gli ultimi trent’anni giapponesi: bassa crescita (e dunque poca domanda, pochi investimenti, produttività lenta, rischio di disoccupazione) e bassa inflazione. Per uscire da questa situazione l’Ocse suggerisce di usare tutte le armi disponibili: politiche monetarie, politiche fiscali e politiche strutturali. Ed indica degli obiettivi intermedi: “è necessaria la ripresa degli investimenti privati e la crescita dei salari perché acceleri l’attività economica globale”.

A questo punto è interessante osservare cosa è successo alle componenti della domanda italiana nel 2015. Dalla Figura 2 si può notare che dal 2012 l’unica componente che ha sostenuto il Pil è stata la domanda estera (esportazioni), mentre quella interna (consumi e investimenti) ha avuto una timida ripresa a partire da quest’anno.

 


          Note: Valori reali destagionalizzati. Quarto trimestre stimato
          Fonte: Elaborazioni su dati Istat
 

Osservando la Figura 3 è abbastanza evidente che in aggregato sia i consumi sia gli investimenti sono aumentati, ma se si disaggrega per le diverse voci che li compongono, si scopre una cosa interessante. Gli investimenti sono stati in pratica spinti da una sola componente, i trasporti, e al netto di questa voce gli investimenti non sono aumentati, anzi.
 


     Note: Valori reali. Quarto trimestre stimato
     Fonte: Elaborazioni su dati Istat
 

Se la ripresa è più che mai debole, in un contesto internazionale dominato dall’incertezza, gli sforzi vanno indirizzati nel rafforzare la domanda aggregata, puntando prima di tutto sul rilancio degli investimenti. Ciò si scontra con la reale capacità italiana di individuare: investimenti di qualità, che siano davvero produttivi per un’economia avanzata, e portarli a effettivo compimento evitando intrecci clientelari e burocratici; le risorse finanziarie, mantenendo il bilancio pubblico in pareggio o quanto meno in un sentiero sostenibile, senza che ciò significhi tagli alla spesa politicamente più sostenibili (ricerca e sviluppo, istruzione, sanità, tagli alle pensioni delle future generazioni, ecc…, ambiti in cui si toccano in misura minore gli interessi costituiti di una moltitudine di categorie per le quali si spende volentieri in cambio di consenso politico-elettorale a breve). Qualche giorno fa la stessa Corte dei conti ha osservato che sul fronte del taglio della spesa si sono ottenuti “risultati importanti a livello di dati aggregati”, evidenziando però che le misure varate si sono spesso rivelate operazioni di “contrazione se non di soppressione di servizi alla collettività” e si sono tradotte in “un risultato molto sbilanciato nella composizione tra spesa corrente e spesa in conto capitale”. Ovviamente quest’ultima è stata pesantemente penalizzata, nonostante sia indispensabile per favorire gli investimenti (e quindi la ripresa).

Nel 2017 occorrerà quindi agire sicuramente in termini di quantità, ma anche di qualità della spesa, proiettata su un orizzonte quanto meno di medio periodo. Il vero problema è aggredire con determinazione l’evasione fiscale, demolire la spesa improduttiva e disegnare un percorso di riqualificazione della spesa pubblica, evitando tagli lineari. Anche la riduzione della spesa, se non mirata, rischia di indurre effetti recessivi esattamente come un aumento delle tasse (si veda Busetti e Cova, 2013, a p. 15 dove gli autori sostengono che l’impatto delle manovre del 2011 varate da Monti avrebbero sottratto oltre un punto percentuale alla crescita del Pil sia nel 2012 sia nel 2013), rendendo inutile qualsiasi sforzo di investimento.

 

Per approfondire:
Istat, Stima preliminare del Pil, IV trimestre 2015, venerdì 12 febbraio 2016
http://www.istat.it/it/archivio/180150

Ocse, Global Economic Outlook and Interim Economic Outlook, febbraio 2016
http://www.oecd.org/eco/economicoutlook.htm

Busetti F., Cova P., L’impatto macroeconomico della crisi del debito sovrano: un’analisi controfattuale per l’economia italiana, Banca d’Italia, QEF 201, Settembre 2013
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2013-0201/QEF_201.pdf

 

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